Prendersi cura è lasciarsi coinvolgere, significa essenzialmente uscire dall’indifferenza andando incontro all’altro.
Talvolta ci arrovelliamo nella ricerca della giusta iniziativa, ci sforziamo di raggiungere la perfezione! Costruiamo percorsi che speriamo possano essere i più adatti ai bisogni e le priorità di un adulto e poi spesso scopriamo che egli stesso non riesce a riconoscere quelle esigenze, carico com’è di responsabilità e travolto dall’incessante ritmo della quotidianità.
Forse basterebbe ricominciare a lasciarsi coinvolgere tutti in un’ottica di corresponsabilità, per trasferire quell’amore gratuito che abbiamo ricevuto. Trasformare le preghiere in opere concrete di prossimità, azioni più semplici, ma non banali, con cui declinare nella vita il prendersi cura delle Sacre Scritture: nutrire, dissetare, vestire, consolare.
Potrebbe sembrare un percorso semplificato, ma non lo è affatto!
La nostra associazione diocesana ci sta provando, ricostruendo i legami “sospesi” (anche per le contingenze storiche da cui siamo stati travolti), riscoprendo la cura reciproca anche su scala più grande di quella che può essere la realtà parrocchiale: all’interno della nostra Chiesa diocesana.
Questo percorso richiede più fatica, le relazioni umane, se autentiche, sono un “lavoro impegnativo”, ma possono elevarsi a preghiera e fare la differenza.
Non parliamo quindi di un generico attivismo, né ansiosa performance, ma di risposta grata all’amore ricevuto, anche quando la vita chiede un pit stop per sentire poi risuonare la notizia dell’autentico coinvolgimento. In una rete di adulti che si accompagnano, la sosta dell’uno è fraternamente sostenuta dall’operosità dell’altro. Anche il più forte ha talvolta bisogno di lasciarsi curare!
Una questione resta però aperta, quella generazionale proprio all’interno del Settore Adulti.
Se ne parla da tanto, ma il dato è ormai statisticamente confermato di anno in anno: gli ultimi dati ISTAT pubblicati sull’Annuario statistico 2023 ci dicono che la Speranza di vita alla nascita (vita media) in Italia è pari ad 80,3 anni per i maschi e 84,8 anni per le femmine. E così da giovane adulto ad adultissimo potrebbe passare un’intera vita…impossibile rimanere uguali a sé stessi, pur conservando i principi.
Forse non riusciamo ad ammetterlo, ci piace vivere di certezze, ma le esigenze mutano continuamente in famiglia, a lavoro, per condizioni di salute…dobbiamo esser pronti a metterci in discussione tutti, a qualsiasi età.
Ebbene, è su questo che bisogna lavorare!
Il Settore Adulti diventa cruciale per l’associazione: si entra a farne parte tutt’altro che “Adulti”, nella maggior parte dei casi ancora nel vortice delle scelte importanti, dei dubbi, degli interrogativi, troppo grandi per essere piccoli e troppo piccoli per essere grandi. La soluzione? Di frequente è la rinuncia, decidere di non essere all’altezza dei pari. Questo trend bisogna invertirlo, almeno provarci con il “mi prendo cura di te”, “non ti giudico”, “siamo tutti ancora in cammino”.
Ho cominciato la mia esperienza diocesana nel Settore Adulti appena trentenne. Mi sentivo ospite. Era per me complicato anche definire degli obiettivi da raggiungere, non erano ben chiari neanche i miei, ma non ho mollato. Ho preferito restare, anche quando riuscivo solo ad osservare. Oggi, grazie o per colpa di quanto ho vissuto attraverso i racconti di questa grande famiglia, ho capito una piccola cosa in più: l’adulto di AC è in cammino se riesce ad accogliere le sue fragilità.
Riconosciamo la reciprocità del prendersi cura, coscienti che anche chi ci guida o si assume responsabilità in associazione potrebbe averne bisogno. Non siamo super eroi, ma proviamo a rendere straordinarie le nostre normali vite incasinate.
Proviamo a prenderci cura l’uno dell’altro, lasciandoci coinvolgere in una rivoluzione relazionale, un movimento che possa generare fraternità ed edificare comunità più umane, per tutti, giovane o adultissimo, dentro e fuori l’AC.
Io ci provo. Noi ci stiamo provando. Proviamoci insieme!
Annamaria Giordano