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Tramandare l’accoglienza

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Parlare dell’accoglienza alle nostre figlie e, poi raccontarlo qui, ci è sembrato semplice, perché essa è nella nostra vita personale e familiare da sempre, un po’ come in una spiegazione di biologia la respirazione.
Facile, tutti respiriamo… Come può essere difficile spiegare una cosa che facciamo tutti dalla nascita?
Se poi fosse solo la spiegazione linguistica, potrebbe essere addirittura più semplice, visto che uno di noi due, Paola, è insegnante di Lettere.
Ma ciò che invece non è semplice è insegnare alle nostre figlie attraverso i gesti, con il nostro vissuto, ciò che significa essere accoglienti nella vita ovvero dimostrare quanto sia prezioso “donare” l’accoglienza al prossimo, chiunque esso sia: un compagno di scuola o di giochi, ma anche un amico antipatico, anzi soprattutto per quest’ultima categoria è veramente difficile “tramandare l’accoglienza”.

Non è un caso che abbiamo utilizzato il termine “tramandare”, cioè trasmettere attraverso le generazioni, perché se oggi siamo qui a capire come spiegare alle nostre figlie l’accoglienza, vuol dire che questa virtù l’abbiamo già vista presente nelle nostre famiglie ed ereditata.

Quando i figli sono piccoli, in età di racconti della buonanotte o magari quando iniziano a studiare per la prima volta la storia a scuola, è bello spiegare che in passato noi genitori abbiamo vissuto in modo diverso, ma ancor di più i loro nonni, che sono cresciuti in un contesto storico più differente e molto difficile. Ad un ragazzo o bambino dei nostri giorni, abituato ad aprire un mobile e a scegliere cosa mangiare, è difficile far capire il problema della fame della reperibilità del cibo al tempo dei nonni. E per questo, ancora di più, come sia stato bello avere o donare “accoglienza” a chi non aveva mezzi e sostentamento.
Doversi rifugiare per i bombardamenti o scappare da una alluvione e perciò, accogliere o essere accolti, sono esempi che emotivamente colpiscono e sicuramente restano nella memoria; tuttavia, essendo questo vissuto diverso dalla loro realtà di tutti i giorni, come dicevamo prima, esercitare la virtù dell’accoglienza in famiglia resta l’esempio quotidiano più importante.

Nella nostra famiglia, la prima esperienza importante di accoglienza l’hanno vissuta le nostre due figlie “grandi” quando, dopo qualche anno da loro, è nata la terzogenita, rompendo gli equilibri consolidati, perché la vera accoglienza ha un “prezzo”, cioè rinunciare a qualcosa di sé per donarlo al prossimo. Che bello avere una sorellina piccola con cui giocare, ma anche a cui badare! Un “prossimo” in famiglia che deve essere accolto e compreso perchè è il più “piccolo” [Mt 25,45].

La declinazione dell’accoglienza di tipo “abitativo o ospitante” è un altro degli altri aspetti che abbiamo sempre cercato di avere in famiglia, non tirandoci mai indietro per pranzi improvvisati o per accogliere compagni di gioco o di scuola, anche se, qualche volta, questo ha comportato “rivoluzioni” di stanze o “tsunami” di disordine. Sta di fatto che per noi avere la casa sempre aperta è dare accoglienza, gioia ed entusiasmo.

Vivere l’accoglienza nella vita di tutti i giorni è anche portare con sé, al mattino, uscendo di casa, un sorriso da donare alla persona che in quella giornata ne ha più bisogno. Per usare un parallelismo con i tanto amati/odiati smartphone, di cui oggi non si può fare a meno, l’accoglienza deve essere il nostro “power bank”, la batteria di riserva che uscendo dobbiamo portare nello zaino, ma non per noi stessi, per il nostro prossimo, che incontreremo e che sicuramente avrà bisogno di una ricarica aggiuntiva.

Una volta discutevamo con un amico proprio sul tema dell’accoglienza e lui ci spiegò che questa è però anche rispetto dell’altro “così com’è”. La cosa colpì molto alcuni di noi che, invece, presi dall’entusiasmo giovanile, eravamo soliti accogliere l’altro “troppo energicamente”, cercando di diventare “grandi amici di tutti”. Abbiamo compreso che ciò non è possibile, perché l’accoglienza deve considerare i tempi dell’altro e rispettarlo. Non puoi incontrare un amico, o peggio un conoscente, e col desiderio di accoglierlo, tormentarlo di domande e/o assillarlo.

Concludendo, potremmo tramandare a voi la nostra esperienza di accoglienza, usando come metafora l’abbraccio, perché abbracciare e accogliere sono quasi “sinonimi”. Ma sarebbe riduttivo dire questo, perché l’accoglienza non è un semplice abbraccio.

L’accoglienza è un abbraccio che
ti stringe, ma non ti soffoca,
ti accoglie, ma ti lascia libero,
ti ospita, ma non ti lega,
ti ascolta, ma non ti obbliga a parlare,
ti consola e non ti giudica.

Paola Bucciarelli e Donato Ferrara


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