Prima di mettere su carta la nostra esperienza di temperanza, abbiamo voluto fare un sondaggio familiare per comprendere il livello di conoscenza di questa virtù. I risultati sono stati poco soddisfacenti…
Allora abbiamo consultato il Catechismo, che definisce la Temperanza “la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà”.
Non proprio facile di questi tempi parlare di moderazione: tempi nei quali la vita è vissuta a 100 all’ora, dove si è alla ricerca di esperienze estreme per sentirsi vivi, dove la libertà è sinonimo di “NO LIMITS”, dell’esagerazione, dell’“all you can eat”.
Questi tempi sono altresì quelli vissuti da sdraiati, di ore trascorse a guardare il mondo dalla finestra di uno schermo, di serie TV viste senza interruzione, tempi nei quali la depressione è considerata il male del secolo.
“Siate temperanti, vigilate”, ci dice Pietro su suggerimento dall’Alto.
Quando ci siamo conosciuti eravamo ragazzi, molto diversi per carattere, esperienze, interessi. Siamo cresciuti in contesti familiari e sociali differenti. E queste diversità si sono dapprima scontrate e poi gradualmente mescolate. Ognuno ha appreso dall’altro che una stessa situazione poteva essere affrontata in maniera diversa dalla propria, che erano possibili altre modalità di relazione.
In questi primi anni l’essere temperanti ha voluto dire tenere a bada l’istinto di prevalere, fare spazio ai punti vista, alle opinioni, e fare proprio il mondo dell’altro. Abbiamo cercato di camminare insieme, di pari passo, non bruciando i tempi, lasciando, piuttosto, che il tempo ci preparasse ad affrontare una vita insieme.
La temperanza non è stata privazione, ma ricerca di equilibrio.
Poi, la convivenza e i figli hanno nuovamente richiesto continui aggiustamenti.
La dinamica di questa virtù può essere resa perfettamente dall’immagine del mare che assorbe calore quando il clima è caldo e poi lo cede quando fuori fa freddo.
Nell’esperienza di coppia e di genitori la fase dell’assorbimento possiamo identificarla nei momenti in cui ascoltiamo, percepiamo le difficoltà, osserviamo gli atteggiamenti insoliti, facciamo silenzio, attendiamo, rimandiamo. Il momento privilegiato per assorbire è quando ci si riunisce intorno alla tavola. Piccoli segnali da percepire a vario livello: silenzi o loquacità (livello facile), calma o nervosismo (livello medio), fame o inappetenza (livello difficile). Il disagio è originato sempre dalla difficoltà di confermare giorno per giorno le proprie scelte, di perseguire obiettivi alti e di continuare ad indirizzarsi verso il bene duraturo, senza cedere alla scelta facile dell’orgoglio, del disimpegno, dell’egoismo. Esercitare il “dominio della volontà sull’istinto”, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Poi arriva il momento di cedere “calore”, quando i tempi sembrano maturi: un confronto, un consiglio, un gesto di riavvicinamento, la comprensione e anche la discussione.
Insieme tentiamo di equilibrare passione e razionalità. Ognuno di noi ha una passione e gli altri ci aiutano a moderarla, perché da soli non sempre ci riusciamo: il lavoro, il calcio, il cibo, il gioco, lo studio. Quella più forte che ci accomuna è la passione di viaggiare insieme, di scoprire posti, ascoltare accenti, di vivere cose nuove e farlo insieme.
Vivere unicamente inseguendo le proprie passioni, significherebbe inseguire emozioni sempre più forti, restando in un mondo di insoddisfazione da colmare.
Vivere esclusivamente nella razionalità, snaturerebbe la vera essenza dell’uomo che è quella di amare.
La temperanza, nella nostra esperienza, ci consente di respirare l’emozione della passione rimanendo coi piedi per terra.
Patrizia Palumbo e Paolo De Luca